lunedì 5 gennaio 2009

Didattica

Ogni insegnante si dovrebbe porre il problema della didattica, quando questo non avviene inevitabilmente l’insegnante ricade nella didattica che ha vissuto da scolaro e da studente, con l’osservazione più o meno conscia: “Se ha funzionato per me, funzionerà anche per i miei allievi”.


La domanda didattica si basa in fondo su una domanda apparentemente semplice: “Che cosa fa di un insegnante un buon insegnante?”

Per rispondere a questa domanda però occorre tenere conto di molte variabili. I problemi, o le variabili, che al momento mi sembrano più urgenti sono due:



  • il problema della quantità di informazioni

  • il problema disciplinare


Il problema della quantità di informazioni


Un problema che mi trovo quotidianamente a dover risolvere è quello della scelta delle informazioni che voglio dare.

Non solo quindi come voglio insegnare, ma cosa voglio insegnare.

Lo Stato italiano con i programmi ministeriali, tra l’altro vergognosamente antiquati, ci dà delle indicazioni piuttosto imprecise.

Ogni insegnante, dopo il primo anno di insegnamento, si rende conto che non si può materialmente insegnare in un anno tutto quello che c’è nei programmi ministeriali e, fortunatamente, non è neanche richiesto. E’ evidente che l’insegnate debba fare delle scelte. Posso fare un esempio tratto dalle mie materie, ma vale per qualsiasi: vi immaginate che in un anno sia possibile imparare la storia nei suoi particolare dal Medioevo (476 caduta dell’impero romano) alla crisi del 1600? O tutte le correnti filosofiche dalla sua nascita (IV sec. a.C.) alla fine del Medioevo (1492)? Ripeto: è evidente che occorra fare delle scelte.

Diciamo quindi che lo Stato, all’infuori di indicazioni di ordine generale, che hanno lo scopo di organizzare per esempio i programmi delle diverse materie fra di loro, ci dà soprattutto degli obiettivi. Tali obiettivi (i famosi OSA) sono ciò che dobbiamo veramente tenere d’occhio nella compilazione dei programmi. All’interno degli obiettivi didattici, siamo relativamente liberi di insegnare quello e come vogliamo.

Questo secondo me è un punto molto importante, perché molto spesso noi insegnanti ci nascondiamo dietro ai programmi, in fondo per lavorare meno e giustificarci nel fare ciò che abbiamo sempre fatto. ¨

Il problema che ognuno di noi deve quotidianamente affrontare è quante informazioni vogliamo dare e vogliamo che i nostri allievi apprendano.

Durante il Rinascimento una persona colta era quella che sapeva a memoria l’Iliade, l’Odissea e altri testi ritenuti fondamentali. I libri erano molto costosi, li si poteva leggere nelle biblioteche, piuttosto rare, ben pochi privati ne possedevano. Con la diffusione della stampa la situazione cambiò relativamente poco, e io ricordo ancora il mio professore di italiano che insegnava la Divina Commedia citandola a memoria. Già ai nostri tempi però l’insegnamento non voleva più essere nozionistico e lo studio a memoria era già considerato una livello molto basso di studio, riservato al più alle scuole medie, come esercizio, e non ai licei.

Oggi il computer e Internet si sono sostituiti sempre più all’uso dei libri, nel bene e nel male: questo è un fatto che dobbiamo accettare, così come Platone dovette accettare che la scrittura andava sostituendo sempre più la tradizione orale. Cercare e rintracciare informazioni è diventato sempre più facile e soprattutto veloce grazie a Internet.

Mi chiedo allora: dobbiamo continuare a farcire i nostri studenti di informazioni? La maggior parte di queste informazioni sono inutili, nel senso che al fuori della scuola non ne faranno mai uso; spesso poco interessanti, per lo meno dal punto di vista dei ragazzi e di facile accesso nel caso in cui ne abbiano bisogno. Dobbiamo allora sprecare il poco tempo che abbiamo a fargliele imparare?

Gli obiettivi scolastici ministeriali danno in realtà molto peso allo sviluppo delle competenze, per esempio la capacità di trovare informazioni e sceglierle criticamente. Ciò significa naturalmente anche che quando facciamo delle verifiche non ha senso richiede delle pure informazioni, ma l’utilizzo di informazioni per esempio per analizzare o sviluppare una teoria. Non è allora che la nuova didattica non voglia dare più alcuna informazione, ma intende fornire informazioni esemplari, utilizzare le informazioni non come fine ma come mezzo per ciò che vogliamo insegnare, per esempio l’analisi critica di una teoria.

Quando prepariamo una lezione allora inizieremo dal chiederci quali sono i nostri obiettivi; anche noi dovremmo imparare ad essere critici e chiederci perché vogliamo adesso, a questo punto dell’anno, in questa classe, parlare e far studiare l’Illuminismo. Mi devo chiedere cosa voglio che i miei studenti sappiano di questo argomento, cosa voglio che si ricordino, cosa devono aver imparato alla fine. Se seguiamo pedissequamente il libro di testo, che è la cosa più facile da fare, questo non può avvenire e tenderemo invece solo a farcire le lezioni di informazioni senza un vero obiettivo, lasciandoci guidare da chi in fondo ne sa più di noi (i curatori del libro di testo), ma non conosce noi, i nostri alunni, la speciale situazione in cui ci troviamo ad insegnare. Ci comportiamo quindi come soldatini che dicevano signorsì, senza chiedersi il motivo delle loro azioni.


Il problema disciplinare


Che i ragazzi al giorno d’oggi non siano più quelli di una volta è un modo di dire banale e scontato. Già Platone e Aristotele si lamentavano della decadenza dei tempi, e questo dovrebbe farci riflettere... Penso che tutti o prima o poi ci siamo trovati a dire “Ai nostri tempi non ci saremmo mai sognati di rispondere così ad un’insegnante” o una frase del genere.

Non voglio dire che questo non sia vero, ma forse dovremmo ricercarne le cause e non solo fare un’asserzione di fatto. Perché i ragazzi non accettano più la scuola così com’è e non si comportano a scuola come vorremmo? Il problema secondo me è a monte: come vogliamo che si comportino? Come voglio che si comporti mio figlio? Cosa gli insegno? In 50 anni siamo passati da un’educazione autoritaria ad un’educazione democratica: quanti in casa danno ancora del Lei o del Voi ai genitori? Quanti non possono che rispondere signorsì quando un genitore dà un ordine? Quanti credono ancora che il padre abbia sempre ragione (anche nel caso in cui abbia torto), per il fattodi essere il padre, di essere un adulto, di essere uno che ne sa di più? Quanti di noi insegnano questo al proprio figlio? In realtà sappiamo che non è giusto, e almeno a parole, tentiamo di insegnargli ad essere critico, a pensare con la propria testa.

I motivi di questo cambiamento sono sociali, storici e politici e non dubito che la maggior parte di voi siano d’accordo che non vogliamo creare dei giovani adulti obbedienti, alla peggio dei bravi soldatini che dicono signorsì, ma dei giovani critici che abbiano delle idee proprie e che sappiano difenderle.

La storia recente ha dimostrato quanto sia pericoloso avere un popolo pronto ad accettare tutto ciò che un’autorità gli dice. Questo però sembra non valere per la scuola. Questa è rimasta praticamente la stessa dai tempi dei nostri nonni. In Italia nella maggior parte dei licei ci si alza quando entra in classe l’insegnate, pretendiamo di parlare per 40 minuti di cose più o meno noiose senza sentir volare una mosca, gli allievi devo accettare quello che gli si dice, tranne poi mostrare uno sviluppato senso critico quando a comando lo richiediamo nei temi.

Detto molto semplicemente: la disciplina che pretendiamo a scuola non è compatibile con l’educazione democratica che impartiamo ai nostri figli e che in fondo riteniamo giusta. Ogni genitore sa che la strada di un’educazione democratica ben è più difficile da seguire che quella di un’educazione autoritaria. E’ un’educazione fatta di zone d’ombra, di limiti flessibili, di colloqui e disponibilità alla discussione e al mettersi in gioco. Chi prende questa via senza riflettere, come forse avviene nella maggior parte dei casi, si trova ad un certo punto con il problema dell’adolescente che, conseguente con quanto ha imparato, pretende di dire al genitore cosa secondo lui è giusto e cosa è sbagliato ed a comportarsi conseguentemente. Anche a scuola quindi, anche come insegnanti, dovremmo affrontare il problema in modo cosciente e chiederci cosa si significa una didattica democratica.

Link: OSA ministeriali (storia e filosofia si trovano a pag. 82)per una descrizione e spiegazione degli OSA: http://matmedia.ing.unina.it/news/riformasecondociclo/Cosa+sono+gli+Osa.htm